La
campagna abbonamenti del Milan è stata lanciata al motto “con le
braccia al cielo”. Subito confermati 30’000 abbonamenti, per il
Diavolo che mira al Paradiso. Ossimoro perfetto per narrare della
fede nel mondo sportivo, un fatto tutto personale che ha anche un
impatto notevole sugli atleti. Fabio Quartararo nella MotoGP ha come
soprannome “il Diavolo”, ma indossa una croce ed è molto
credente (altro ossimoro), perché non tutto è connesso con la
logica di chi stoltamente cerca di connettere ogni gesto o simbolo
(sia esso una croce al collo od un tatuaggio) senza volerne capire la
dimensione. Nel ciclismo Roglic ha tatuata un’enorme croce sul
braccio destro, spesso i ciclisti tagliano il traguardo puntando il
dito al cielo, per ricordare un compagno scomparso (lo ha fatto anche
Pogacar in questo Tour per il giovane italiano Privitera), ma anche
per quella fede che li accompagna tra discese pazze e salite spacca
gambe. L’uomo contro la natura. In tanti sport la fede è quasi
imprescindibile, come nella boxe dove Usyk indossa sempre un enorme
crocifisso, lui cristiano ortodosso. L’indiscusso ed imbattuto
campione dei pesi massimi dopo l’ultimo successo ha chiosato ad una
giornalista se fosse il più grande di sempre così: “No, Dio lo è,
chi sono io per sentirmi il più grande? Mi ridimensiona sempre
nell’umiltà di dare solo il meglio”. Citi la boxe e pensi a
Muhammad Alì, che abbracciò la fede mussulmana, una scelta
importante nella sua carriera. Storica come impatto sulla società.
La fede non ha colori o bandiere (così dovrebbe essere vista anche
da chi purtroppo la strumentalizza per far guerre), ma nello sport è
spesso un detonatore motivazionale immenso da rispettare, ma anche
parte di rituali degli atleti. Pensiamo appunto a chi segue l’Islam
durante il Ramadan, i musulmani adulti e sani si astengono da cibo,
bevande e altri piaceri dalla prima luce dell'alba fino al tramonto.
Un mese, che vale anche per gli sportivi ed influisce sulle loro
prestazioni. Ma anche ai tantissimi atleti che si fanno il segno
della croce prima di iniziare una prestazione, come Olivier Giroud,
lettore quotidiano della Bibbia che prega prima di ogni partita di
calcio, raccogliendosi sul campo con le mani aperte. Senza scomodare
due immensi atleti che sono stati legati a Dio, alla loro fede
cristiana: Ayrton Senna e Kakà. La fede (qualsiasi essa sia) va
sempre rispettata, chi ne è sprovvisto non deve giudicare gli altri,
enfatizzare i gesti con astio e cattiveria. Ad ogni atleta, sportivo,
ma anche persona, appartiene il diritto di pregare, alzare il dito al
cielo, portare una croce, sia essa cristiana o la stella di Davide
(come spesso si vede anche in TV tra presentatori od ospiti ovunque),
senza dimenticare mai che gli ossimori citati (Milan, Manchester
United,…) hanno magari il Diavolo come soprannome, ma non per
questo i tifosi intelligenti sanno carpirne le differenze. In fondo
Kakà e Giroud hanno giocato per il Milan. Maturi abbastanza per
coglierne il significato e le differenze.
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Sport e fede