SPORT
Sport e fede
Pubblicato il 26.07.2025 14:36
di Alessandro Tamburini
La campagna abbonamenti del Milan è stata lanciata al motto “con le braccia al cielo”. Subito confermati 30’000 abbonamenti, per il Diavolo che mira al Paradiso. Ossimoro perfetto per narrare della fede nel mondo sportivo, un fatto tutto personale che ha anche un impatto notevole sugli atleti. Fabio Quartararo nella MotoGP ha come soprannome “il Diavolo”, ma indossa una croce ed è molto credente (altro ossimoro), perché non tutto è connesso con la logica di chi stoltamente cerca di connettere ogni gesto o simbolo (sia esso una croce al collo od un tatuaggio) senza volerne capire la dimensione. Nel ciclismo Roglic ha tatuata un’enorme croce sul braccio destro, spesso i ciclisti tagliano il traguardo puntando il dito al cielo, per ricordare un compagno scomparso (lo ha fatto anche Pogacar in questo Tour per il giovane italiano Privitera), ma anche per quella fede che li accompagna tra discese pazze e salite spacca gambe. L’uomo contro la natura. In tanti sport la fede è quasi imprescindibile, come nella boxe dove Usyk indossa sempre un enorme crocifisso, lui cristiano ortodosso. L’indiscusso ed imbattuto campione dei pesi massimi dopo l’ultimo successo ha chiosato ad una giornalista se fosse il più grande di sempre così: “No, Dio lo è, chi sono io per sentirmi il più grande? Mi ridimensiona sempre nell’umiltà di dare solo il meglio”. Citi la boxe e pensi a Muhammad Alì, che abbracciò la fede mussulmana, una scelta importante nella sua carriera. Storica come impatto sulla società. La fede non ha colori o bandiere (così dovrebbe essere vista anche da chi purtroppo la strumentalizza per far guerre), ma nello sport è spesso un detonatore motivazionale immenso da rispettare, ma anche parte di rituali degli atleti. Pensiamo appunto a chi segue l’Islam durante il Ramadan, i musulmani adulti e sani si astengono da cibo, bevande e altri piaceri dalla prima luce dell'alba fino al tramonto. Un mese, che vale anche per gli sportivi ed influisce sulle loro prestazioni. Ma anche ai tantissimi atleti che si fanno il segno della croce prima di iniziare una prestazione, come Olivier Giroud, lettore quotidiano della Bibbia che prega prima di ogni partita di calcio, raccogliendosi sul campo con le mani aperte. Senza scomodare due immensi atleti che sono stati legati a Dio, alla loro fede cristiana: Ayrton Senna e Kakà. La fede (qualsiasi essa sia) va sempre rispettata, chi ne è sprovvisto non deve giudicare gli altri, enfatizzare i gesti con astio e cattiveria. Ad ogni atleta, sportivo, ma anche persona, appartiene il diritto di pregare, alzare il dito al cielo, portare una croce, sia essa cristiana o la stella di Davide (come spesso si vede anche in TV tra presentatori od ospiti ovunque), senza dimenticare mai che gli ossimori citati (Milan, Manchester United,…) hanno magari il Diavolo come soprannome, ma non per questo i tifosi intelligenti sanno carpirne le differenze. In fondo Kakà e Giroud hanno giocato per il Milan. Maturi abbastanza per coglierne il significato e le differenze.