La Federazione svizzera di calcio (ASF) è sotto accusa per
il caso Kospo.
Il 18.enne difensore centrale, ora in forza alla Fiorentina, ha scelto di giocare per la Bosnia, nonostante abbia fatto la trafila con le nazionali giovanili svizzere (di cui è stato anche capitano) e sia cresciuto prima nell’Aarau e poi nel Grasshopper (prima di approdare per due stagioni nella Masìa del Barcellona).
Cosa avrebbe dovuto fare la nostra federazione? Si poteva fare qualcosa per trattenere questo talento?
Forse sì, magari con un po’ più di diplomazia, cercando di prevenire quello che poi è fatalmente successo. I ragazzi, a quest’età, soprattutto se sono bravi e hanno il doppio passaporto, subiscono pressioni enormi. Loro e le loro famiglie. È una situazione che a Berna conoscono molto bene.
Non è la prima volta che succede di perdere dei talenti: in passato era capitato con giocatori già affermati come Rakitic, Kuzmanovic e Petric.
A dire la verità, Kospo, per bravo che sia, finora non ha ancora giocato un minuto nel calcio dei grandi (ha disputato qualche giorno fa un’amichevole con la maglia della Fiorentina): avrebbe dovuto partecipare tra poco alle qualificazioni europee con l’Under 19 e poi, se avesse trovato un po’ di spazio nella Fiorentina di Pioli, sarebbe sicuramente stato convocato per l’Under 21 allenata da Stauch. Ritenuta proprio da Kospo, un grande obiettivo.
E invece nulla: alla fine ha vinto la Bosnia. Forse grazie al lavoro di convincimento di un’istituzione come Dzeko (ora suo compagno alla Fiorentina), o alla prospettiva di poter giocare (o meglio, venir convocato) subito da una nazionale maggiore che punta a qualificarsi per i Mondiali.
Ognuno è artefice del proprio destino, che sia chiaro, ma la mossa di Kospo appare un po’ affrettata: avrebbe potuto aspettare ancora un po’ e poi decidere con più calma e serenità, se veramente, come dice lui, ha il cuore diviso in due.
A parte gli aspetti emotivi, qui c’è però un’altra considerazione da fare, ed è di carattere economico: è normale che una federazione che investe su un giocatore per anni, poi non possa usufruire dei suoi servizi?
O meglio: è possibile che non possa rientrare, almeno parzialmente, dell’investimento fatto per la crescita del ragazzo?
Questo è un tema su cui la Fifa dovrebbe chinarsi al più presto.
Il 18.enne difensore centrale, ora in forza alla Fiorentina, ha scelto di giocare per la Bosnia, nonostante abbia fatto la trafila con le nazionali giovanili svizzere (di cui è stato anche capitano) e sia cresciuto prima nell’Aarau e poi nel Grasshopper (prima di approdare per due stagioni nella Masìa del Barcellona).
Cosa avrebbe dovuto fare la nostra federazione? Si poteva fare qualcosa per trattenere questo talento?
Forse sì, magari con un po’ più di diplomazia, cercando di prevenire quello che poi è fatalmente successo. I ragazzi, a quest’età, soprattutto se sono bravi e hanno il doppio passaporto, subiscono pressioni enormi. Loro e le loro famiglie. È una situazione che a Berna conoscono molto bene.
Non è la prima volta che succede di perdere dei talenti: in passato era capitato con giocatori già affermati come Rakitic, Kuzmanovic e Petric.
A dire la verità, Kospo, per bravo che sia, finora non ha ancora giocato un minuto nel calcio dei grandi (ha disputato qualche giorno fa un’amichevole con la maglia della Fiorentina): avrebbe dovuto partecipare tra poco alle qualificazioni europee con l’Under 19 e poi, se avesse trovato un po’ di spazio nella Fiorentina di Pioli, sarebbe sicuramente stato convocato per l’Under 21 allenata da Stauch. Ritenuta proprio da Kospo, un grande obiettivo.
E invece nulla: alla fine ha vinto la Bosnia. Forse grazie al lavoro di convincimento di un’istituzione come Dzeko (ora suo compagno alla Fiorentina), o alla prospettiva di poter giocare (o meglio, venir convocato) subito da una nazionale maggiore che punta a qualificarsi per i Mondiali.
Ognuno è artefice del proprio destino, che sia chiaro, ma la mossa di Kospo appare un po’ affrettata: avrebbe potuto aspettare ancora un po’ e poi decidere con più calma e serenità, se veramente, come dice lui, ha il cuore diviso in due.
A parte gli aspetti emotivi, qui c’è però un’altra considerazione da fare, ed è di carattere economico: è normale che una federazione che investe su un giocatore per anni, poi non possa usufruire dei suoi servizi?
O meglio: è possibile che non possa rientrare, almeno parzialmente, dell’investimento fatto per la crescita del ragazzo?
Questo è un tema su cui la Fifa dovrebbe chinarsi al più presto.