A margine di Milan-Bari è andato in scena, come
preannunciato via social nei giorni scorsi, lo "sciopero"
della curva del Milan, contro la nuova politica societaria in tema di
abbonamenti: niente striscioni, niente cori, niente bandiere, con i
tifosi più caldi a seguire la gara in silenzio, come a teatro. Una
sensazione strana, visto che il nutrito gruppo di quelli ospiti, i
quali hanno peraltro dimostrato solidarietà agli ultras milanisti,
si faceva più sentire del resto dello stadio, privato della
tradizionale "regìa" gestita da parte dei sostenitori più
caldi. C'è da credere che anche i dirimpettai nerazzurri, duramente
penalizzati dalla società di viale della Liberazione, attueranno
iniziative analoghe, oltre ad aver intrapreso, secondo quanto ci
risulta, azioni legali nei confronti del club di viale Liberazione.
In tribuna stampa le opinioni erano discordi, come sempre accade in
questi casi, tra chi sostiene che lo stadio senza ultras sia un
ambiente troppo asettico e chi, invece, ne farebbe tranquillamente a
meno. Va detto che la misura restrittiva rispetto agli abbonamenti
non è estesa a tutti gli stadi oltreconfine, ma riguarda solo Milan
e Inter: sabato a Como, per dire, il tifo organizzato si è
presentato con bandiere e striscioni, e non ci risultano limitazioni
di sorta durante la campagna abbonamenti, a parte il tetto massimo di
tessere in vendita, che ha portato in poche ore al tutto esaurito. A
San Siro, le società milanesi hanno invece applicato il regolamento
dello stadio, dal momento che, secondo le ricostruzioni della Procura
milanese (l'equivalente del nostro Ministero pubblico), gli ultras
avrebbero venduto a prezzi da bagarinaggio gli accessi allo stadio
attraverso il cambio del nominativo sulle tessere del tifoso, lo
strumento che, oltre confine, serve per identificare chi accede
all'impianto sportivo. Ponendo in essere una condotta restrittiva, un
domani, quando sarà celebrato il processo, Milan e Inter potranno
dimostrare di aver fatto il possibile per impedire la continuazione
di una condotta comunque antigiuridica, seppure non più penalmente
rilevante (il bagarinaggio è punito con una, seppur pesante,
sanzione amministrativa pecuniaria). Un'altra misura presa dai club
è, infatti, il divieto di cessione a terzi dei diritti d'ingresso
allo stadio nei settori (curve verdi e blu) rispettivamente occupati
dalle frange più calde dei tifosi nerazzurri e rossoneri, creando un
ulteriore ostacolo a questa pratica. Dall'apertura dell'inchiesta, le
curve milanesi sono state messe sotto pressione anche dall'autorità
di polizia sotto l'aspetto della prevenzione e della pubblica
sicurezza: controlli e divieti sugli striscioni, con tanto di divieto
di utilizzare la vecchia denominazione (Curva Nord Milano, Curva Sud
Milano), sulle bandiere eccetera. Ma non è finita, visto che c'è
anche una protesta da parte degli ambulanti che vendono cibo e
magliette fuori dallo stadio: la convenzione con la società che
gestisce gli spazi è scaduta lo scorso 1° luglio, e si parla di
condizioni di rinnovo che taglierebbero fuori i circa 22 banchi che
vendono merchandising, quasi sempre non ufficiale. Le società
spingono per poter operare in autonomia, usufruendo così di ottimi
margini di guadagno e, soprattutto, offrendo solo prodotti
certificati e originali i quali, come noto, sono molto più costosi
degli altri. Insomma, si fa verso uno stadio senza cori (a volte non
proprio da educande, va detto) e bandieroni, e potrebbe essere a
rischio anche il mitico panino con la salamella (la luganega
ticinese), l'equivalente del bratwurst da stadio elvetico, ma con
l'aggiunta di cipolla, peperoni e salse a scelta: una vera festa del
colesterolo ma parte del rito, spesso legato a questioni
scaramantiche. Tuttavia, la questione ultras è quella più
complessa: sono in molti, infatti, a chiedersi se ci saranno passi
ulteriori da parte delle due curve. Affaire à suivre, dunque.
CALCIO ITALIANO

Milan, lo sciopero degli ultras