Silenzio stampa fino a martedì, dopo la partita con l'Yverdon: in fondo, è giusto così. Chi fa certe figuracce è meglio che si prenda un tempo per riflettere e per guardarsi in faccia. Le parole, a questo punto, non servono.
Il Bellinzona che torna da Vaduz è una squadra piena di dubbi e polemiche.
I dubbi arrivano addirittura dall’interno, dal suo capitano, l’uomo più rappresentativo. Dragan Mihajlovic non può far altro che esternare una profonda delusione:
“È un altro risultato che ci riporta in una dimensione che non volevamo, è una brutta immagine. Si vede che questa squadra non è pronta per il livello della Challenge League. Mi spiace ammetterlo ma è la verità che il campo dimostra. Purtroppo il lavoro che si è fatto nel precampionato è poco e ora ne stiamo pagando le conseguenze”.
Ci si era illusi che con qualche ragazzotto che avesse fame (ma è davvero così?) e con qualche straniero dal dubbio curriculum, si potesse costruire una squadra per la Challenge League.
Ovviamente, risultati alla mano, non è così. Se poi ci aggiungiamo la solita confusione in panchina, il gioco è fatto.
Ci si chiede, legittimamente, di chi sia la colpa: del livello di questi giocatori o di chi li allena o di chi gestisce il club?
Probabilmente c’è un po’ di tutto in questa accozzaglia di responsabilità, dove è difficile vedere una luce in fondo al tunnel.
A maggio, dopo cinque vittorie e due pareggi, e dopo aver confermato a voce Sannino, si è deciso di stravolgere tutto.
Arrivato Trujillo, di cui si sono perse le tracce (ormai non scrive più nulla sul Bellinzona), a gestire club e spogliatoio sono tornati gli uomini di quel Bentancur che avrebbe dovuto cedere la proprietà.
Una rivoluzione in grande stile, la voglia, a parole, di spaccare il mondo. Di tagliare con il passato.
E invece la realtà dice ben altro: sul campo, per ora, un disastro assoluto. Fuori, vedremo. Una cosa è certa: ci vuole tanta fede nel destino.

(Foto Filippo Zanovello)