Il Toro è una di quelle
squadre che mette d'accordo, quasi, tutti gli appassionati sportivi.
Nell'immaginario collettivo ha una grandissima potenza evocativa.
Rimanda direttamente alla parola storia, se non leggenda. Su intere
generazioni di tifosi ha aleggiato il racconto del Grande Toro, lo
squadrone che nel secondo dopoguerra dominava in Italia e faceva
parlare tutto il mondo del calcio. I nomi di quella formazione
rappresentano vere e proprie icone: Bacigalupo; Maroso; Rigamonti;
Gabetto. E poi c'era Valentino Mazzola, considerato un autentico
fuoriclasse. La tragica fine, il 4 maggio del 1949 l'aereo con a
bordo la squadra si schiantò contro la Basilica di Superga, che
causò 31 vittime, ha contribuito a costruire un mito. C'è stato,
poi, il Torino degli anni Settanta, quello di Radice e dei gemelli
del gol: Graziani e Pulici. E ora? Il club è nelle mani di Urbano
Cairo, potente editore che controlla giornali come la Gazzetta dello
Sport. Contro l'Inter i granata non hanno fatto altro che subire, la
sconfitta (5-0) poteva essere ancora più pesante. E nessun Cuore Toro, nessuna
parvenza di reazione. I piemontesi si sono consegnati all'avversario,
si sono arresi. I tifosi protestano, contestano il loro presidente.
Hanno una stampa positiva a loro favore, ma quella non scende in
campo. Rimane consolarsi con la nostalgia, e l'illusione che tutto
potrebbe cambiare. Magari a Torino piomba un miliardario, come è
successo a Como.
CALCIO ITALIANO

Povero Toro