Lele Adani si è
costruito come un abile comunicatore televisivo e social. Parla, spiega, rafforza i suoi
concetti e ragionamenti. Il tono, la cadenza della sua voce, i gesti catturano l'uditorio, che lo segue. Il suo pensiero lo dichiara: “Devo
tutto al calcio, ho realizzato un sogno. Non ho padroni, non li
cerco, mi sento vicino alla gente”. A Lugano, era presente al
festival culturale Endorfine, ha sottolineato che lo guidano: il
calcio; la gente; la libertà. È conscio di essere un personaggio,
di suscitare interesse e di essere divisivo. Il suo ruolo di spalla
tecnico lo spinge: “A raccontare un'emozione, trasmettere
passione”, perché l'evento, una partita, ha una forza che
“travolge” e “coinvolge”. Ma si informa, studia
e cerca di proporre analisi competenti, e utilizza due categorie: la
preparazione; il rispetto. Ricerca l'equilibrio tra un amore
incondizionato verso la disciplina, il trasporto ossessivo verso il
gioco, la grande passione, e il compito di parlare al pubblico, con
un linguaggio semplice ma non privo di contenuti. È stato un buon
giocatore, ha evidenziato i privilegi economici che hanno, ma anche
la difficoltà: “I calciatori hanno molte persone intorno, ma
chi li ascolta davvero? E molto spesso la stessa famiglia è
deleteria”. Si proclama
come un fortunato, è cresciuto con “valori” che ancora lo
sorreggono. Ringrazia senza essere fatalista, perché il calcio è stata la sua professione
da giovane, e ora ha la possibilità di parlare di questo sport
bellissimo davanti a persone che lo ascoltano. È uno da
“spogliatoio” quello verace, quello esistenziale, quello
delle categorie inferiori dove si respira una vita vera: “Lo
porti dovunque”, perché siamo: “Figli di un destino”.
La chiosa finale non poteva che riportare il suo amore verso il
calcio sudamericano. Rammenta una frase di Marcelo Bielsa che
sosteneva: “Un popolo ribelle è un popolo sano”. Predilige il giocatore sudamericano per la sua attitudine e per la sua indole, poiché vuole “ribellarsi a non farcela”;
con le sue giocate intende “risolvere le difficoltà”; ha
un tratto distintivo: “non ha paura di sbagliare”. Alla
domanda chi tra Messi e Maradona, risponde perentorio:
“Sempre Maradona”. E non poteva essere altrimenti.
CALCIO
“Messi o Maradona? Sempre Maradona”