Nel ciclismo siamo in
piena era Pogacar. Esiste un atleta capace di esercitare un dominio
quasi assoluto, con lui in gara il risultato pare sempre scontato. Lo
sloveno è già leggenda, le sue vittorie vanno oltre la storia. Ma
lo sport è un grande romanzo popolare, e il mondo delle due ruote
pretende di essere raccontato. La narrazione del primo Mondiale
africano, che ha proposto un percorso duro e difficile, pencola tra
il destino e il fato. E il protagonista che voleva essere tale è
Remco Evenepoel. Il belga nella cronometro aveva quasi dileggiato
Pogacar, raggiunto e staccato. Una sorta di lesa maestà. La prova su
strada è finita, ecco Evenepoel seduto contro una transenna, testa
tra le mani, e, probabilmente, qualche lacrima a rigare il giovane
volto. Un pianto lieve, sconsolato e triste. Dopo lo scoramento è
arrivata la spiegazione. È stata tutta colpa di una sella. Era
finito in una buca; la sella si era abbassata; una postura sbagliata
e ha avuto i crampi; cambio bici tardivo. E quando Pogacar ha
sferrato l'attacco decisivo, mancavano oltre 100 km al traguardo, i
dolori alla schiena, anche a causa degli infortuni passati,
gli hanno impedito di rispondere. Si è ripreso, le gambe hanno
cominciato a girare di nuovo, ha tentato una rimonta disperata, ma è
stato tutto vano. Fine della corsa e immane senso di frustrazione.
Sfortuna? Imperizia? Poco importa. È il ciclismo, è la strada che
riflette uno splendido spaccato di vita, è foriera di emozioni e
sentimenti contrastanti. E poi c'è Pogacar, che quando scappa via e
impossibile riprendere. Ma Evenepoel tenterà ancora, sente di potercela fare, lo dichiara e ci crede. Le sue parole sono una promessa e una minaccia. Non finisce qua.
CICLISMO
Tutta colpa della sella