Non è facile quantificare il tempo che Luca Cereda mi abbia dedicato in questi oltre 8 anni in qualità di coach. Si possono però fare delle stime. E allora proviamoci. Una trentina d’ interviste a stagione, una media di 7 minuti a intervista, per arrivare in totale in sostanza a più di un intero giorno d’interviste. A ciò vanno aggiunte le discussioni off-records, fuori dal contesto delle partite. Più di 8 anni in cui il “Cere” non si è mai tirato indietro, con la consueta gentilezza e pazienza. Non c’è stata una singola volta dove non sia arrivato dal sottoscritto scoglionato o abbia rifiutato, nemmeno dopo le sconfitte più brucianti. Domande a volte scomode, magari anche inappropriate. “Fa parte del suo lavoro”, dirà qualcuno. È vero, ma non è sempre evidente trovare la lucidità e la forza per presentarsi davanti a un rappresentante della stampa dopo cocenti delusioni. Non sono mai mancate le discussioni, le visioni diverse. Il nativo di Sementina mi ha sempre spiegato tutto senza arroganza, senza mai darmi l’impressione di essermi superiore. Anche se in fondo ne avrebbe avuto il diritto, eccome. Già, lui è stato un ex giocatore, fu la prima scelta di Toronto, ha vinto un campionato, ha studiato l’hockey, ha conseguito i suoi diplomi da coach. Io nulla di tutto questo. Il nostro unico punto in comune era, o per meglio dire è, la passione illimitata per l’hockey. Già, perché Cereda non è mica morto e tornerà a lavorare in questo ambito. Alla domanda su quali siano stati i più bei ricordi in questo lungo lasso di tempo ha sempre risposto con la vittoria alla Coppa Spengler e l’avventura in Champions Hockey League. Sportivamente è sicuramente così, ma probabilmente il souvenir più bello e significativo di Luca è quello avvenuto il 4 marzo del 2023. Già, il 4 marzo, spesso ricordato per Lucio Dalla, la sua magnifica canzone, la sua data di nascita. Quel 4 marzo, ultima partita di regular season, l’ultima della stagione per l’Ambrì, già fuori dai giochi. Una sconfitta deleteria, un 7 a 4 in quel di Rapperswil, con i sangallesi in avanti per 7 a 0 dopo 30’. Un vero disastro, uno scempio. Eppure a fine partita, il settore ospite occupato dai tifosi biancoblù, stipato come sempre all’inverosimile, cominciò a chiamare a gran voce il coach. Una scena quasi irreale considerando il contesto, con Cereda che andò sotto la curva a salutare i fans e si fece un selfie. Una scena di stima, affetto e amore che vale ben di più di qualsiasi coppa alzata. Sì, per me è questo l’apice, è l’episodio che spiega e fa capire quanto sia amato Cereda. Chissà magari ora quel prezioso selfie, che conserverà gelosamente nel suo cellulare, verrà “stampato” e troverà un posto di riguardo nel salotto della sua casa. Grazie di tutto “Cere”.
(Foto Ticishot-Simone Andriani)