Stadio
blindato e inaccessibile da giorni; pochi spettatori presenti; inno
nazionale israeliano fischiato; partita giocata in un ambiente carico
di pressione e tensione. Per le vie della città c'è stata una vera
e propria guerriglia urbana, con i soliti incidenti: due giornalisti
feriti, e scontri tra le forze dell'ordine e parte dei manifestanti.
Un giornalista Rai in video, Alessandro Antinelli, ha indossato un
fiocco nero sul bavero, ha spiegato che “serve a ricordare 250
tra giornalisti e giornaliste, che sono morti”, per
“raccontare... un genocidio”, chiosando: “Questo è
un fatto”. Cosa resta del calcio? Poco o niente, un mero
dettaglio, è stato solo un pretesto. Lo spettacolo deve sempre
continuare, e viene inserito in un contesto e in una discussione in
cui viene usato, consumato e manipolato. La sua grandissima
popolarità ne fa un potente strumento, che viene strumentalizzato
senza mezzi termini. Tanto tutto scorre velocemente, e la prossima
partita cancella ogni fatto precedentemente. È il tratto della
modernità: la modernità cancella la memoria; l'informazione è un
flusso continuo e non si arresta, dove la forma prende il sopravvento
sulla sostanza; l'analisi non interessa. Italia-Israele si doveva
giocare? È una di quelle classiche domande a cui rispondere è quasi
impossibile. È inevitabile che nella risposta torti e ragione
sarebbero emersi. E non resta che parlare di sensazioni: l'incontro è
stato avvilente e ha trasmesso una grande tristezza.
MONDIALI 2026
Italia-Israele si doveva giocare?