Gennaro Gattuso era detto
Ringhio. Era un mediano che correva sempre, l'avversario lo stanava,
e non aveva paura di affondare il tackle. È un appassionato del
calcio, è una persona verace, che svetta per coerenza, in un mondo
dove aleggia, molto spesso, l'ipocrisia, non teme di essere sé
stesso. Non ha mai avuto paura di confrontarsi ed esprimere il suo
pensiero. È cosciente che per l'Italia calcistica stanno arrivando
momenti che sconfineranno nel melodramma. L'incubo è noto: non
partecipare nemmeno ai prossimi Mondiali. L'approdo alla
manifestazione passa, molto probabilmente, per un playoff. Altrimenti
si consumerebbe una tragedia e si parlerebbe di autentica
disperazione, nel senso sportivo è ovvio. Il tecnico si è investito
di una missione per conto di un'intera nazione. Trasmette carica e
incita uno sforzo dove deve prevalere la volontà. Poco importa il
dibattito sul livello di un movimento che si trova in un evidente
stato di crisi permanente. La Serie A è un campionato di
retroguardia, negarlo è impossibile. Ma Gattuso è perentorio, non
vuole alibi o giustificazioni, ci mette la faccia, e dichiara: “I
meriti me li prenderò se riuscirò a centrare l'obiettivo, sennò
andrò a vivere lontano dall'Italia”, aggiungendo: “Non è
una fuga: è consapevolezza delle responsabilità”.
MONDIALI 2026
Gattuso via dall'Italia se...