PUGILATO
Il lato oscuro del sacrificio
Pubblicato il 30.10.2025 07:31
di Alessandro Tamburini
Loro sono Kellie Harrington e Sophie Alisch ed in comune hanno tutto e niente. L’irlandese di Dublino ha vinto 2 ori olimpici tra i pesi leggeri (Tokyo 2021 e Parigi 2024), dove ho avuto l’onore di vederla vincere in Giappone tra i pochi presenti a causa del Covid. Kellie si era poi ritirata, ma ha deciso a 35 anni di tornare a combattere pochi giorni orsono. Motivo? “Una vita normale non fa per me, la boxe mi ha salvato ed è il mio detonatore motivazionale nella vita”. Fa riflettere, perché sono tanti i pugili che fuori dal ring soffrono, come l’icona inglese Ricky Hatton, scomparso di recente a 46 anni per suicidio. L’ex campione del mondo in più categorie e cinture non ha mai superato la fine della carriera sportiva, in un mondo dove ti alleni come un ossesso per combattere poche volte all’anno. Sono le parole di Sophie Alisch che fanno riflettere al riguardo. La giovane tedesca, 24 anni, grandissima promessa della boxe, ha cambiato sport ed è passata al ciclismo. Obiettivo Los Angeles 2028. Sophie è stata chiara. Allenarsi mesi per pochissimi incontri all’anno non ha senso, soprattutto perché checché se ne dica nel pugilato femminile i soldi sono pochi. Anzi, negli ultimi anni solo alcune privilegiate ne hanno approfittato, mentre tutto il sistema è diventato ancor più povero. E lo dice una ragazza che ha solo su Facebook quasi 150’000 followers ed ha un riscontro economico notevole dai socials. Kellie e Sophie sono due volti diversi ed opposti della stessa medaglia. Di chi ha vinto le olimpiadi attraverso i sacrifici e non riesce a fare a meno della boxe, e chi alle olimpiadi vuole andarci in bicicletta correndo durante un anno intero, col sostegno economico meritato come atleta. La boxe dovrebbe interrogarsi su come sostenere ex atlete e promuovere le nuove generazioni.