Loro
sono Kellie Harrington e Sophie Alisch ed in comune hanno tutto e
niente. L’irlandese di Dublino ha vinto 2 ori olimpici tra i pesi
leggeri (Tokyo 2021 e Parigi 2024), dove ho avuto l’onore di
vederla vincere in Giappone tra i pochi presenti a causa del Covid.
Kellie si era poi ritirata, ma ha deciso a 35 anni di tornare a
combattere pochi giorni orsono. Motivo? “Una vita normale non fa
per me, la boxe mi ha salvato ed è il mio detonatore motivazionale
nella vita”. Fa riflettere, perché sono tanti i pugili che fuori
dal ring soffrono, come l’icona inglese Ricky Hatton, scomparso di
recente a 46 anni per suicidio. L’ex campione del mondo in più
categorie e cinture non ha mai superato la fine della carriera
sportiva, in un mondo dove ti alleni come un ossesso per combattere
poche volte all’anno.
Sono
le parole di Sophie Alisch che fanno riflettere al riguardo. La
giovane tedesca, 24 anni, grandissima promessa della boxe, ha
cambiato sport ed è passata al ciclismo. Obiettivo Los Angeles
2028. Sophie è stata chiara. Allenarsi mesi per pochissimi incontri
all’anno non ha senso, soprattutto perché checché se ne dica nel
pugilato femminile i soldi sono pochi. Anzi, negli ultimi anni solo
alcune privilegiate ne hanno approfittato, mentre tutto il sistema è
diventato ancor più povero. E lo dice una ragazza che ha solo su
Facebook quasi 150’000 followers ed ha un riscontro economico
notevole dai socials. Kellie
e Sophie sono due volti diversi ed opposti della stessa medaglia. Di
chi ha vinto le olimpiadi attraverso i sacrifici e non riesce a fare
a meno della boxe, e chi alle olimpiadi vuole andarci in bicicletta
correndo durante un anno intero, col sostegno economico meritato
come atleta. La boxe dovrebbe interrogarsi su come sostenere ex
atlete e promuovere le nuove generazioni.
PUGILATO
Il lato oscuro del sacrificio