HC AMBRÌ PIOTTA
Landry padre e allenatore, è un problema?
Pubblicato il 30.10.2025 09:26
di Marco Maffioletti
Ancora due partite per l’Ambrì, una a Porrentruy, l’altra in casa con il Bienne. Poi la prima pausa del campionato, praticamente due settimane per recuperare le energie e capire specialmente in quale direzione si vuole andare, anche se idealmente l’ultimo aspetto dovrebbe già essere stato affrontato. Se si vuole continuare con il duo Landry e Matte ovviamente non c’è nulla da modificare, altrimenti il momento più adatto per effettuare il cambiamento di coach è proprio questo. La scelta va ponderata bene.
C’è un candidato che davvero convince? Ingaggiare un tecnico tanto per, non ha evidentemente alcun senso. Oltretutto c’è anche l’aspetto finanziario da considerare. Continuare così permetterebbe al club di risparmiare dei soldini. Un nuovo allenatore è un grande investimento, non va fatto alla leggera o non deve essere dettato dal panico. La classifica piange, ma ora non deve diventare un assillo. L’impressione è che questa squadra non abbia i mezzi per poter ambire a molto di più, quindi tanto vale restare calmi, il che però non vuol dire evidentemente mollare, anzi. Pensare che un nuovo coach arrivi e abbia la bacchetta magica per far rendere maggiormente il gruppo è utopia. Inoltre inculcare un nuovo sistema di gioco richiede tempo.
A livello di prestazioni e di linguaggio del corpo è cambiato poco dopo la partenza di Luca Cereda, ma perlomeno qualche risultato in più è arrivato. Alla fine è quello che conta. L’interrogativo più grande a media gittata, casomai, è se veramente il doppio ruolo coach/padre di Eric Landry sia sostenibile. Non è facile gestire una situazione simile per nessuno dei protagonisti, già prima in qualità di “solamente” assistente c’era l’interrogativo. Da una parte il babbo, che deve assolutamente riuscire a dare l’impressione all’intera squadra  e convincerla di trattare Manix e Lukas come qualsiasi altro giocatore. Dall’altra pure i due giovani non sono in una situazione comoda. Il conflitto d’interessi è alto, checché ne dicano i protagonisti. In fondo un padre vuole sempre e solo il meglio per i propri figli, è nella natura delle cose. Più giocano, più s’illustrano, più possono fare progredire le rispettive carriere. C’è persino il rischio contrario, quello di trattarli più duramente, proprio per fare intendere a terzi di non ricevere nessun trattamento di favore. Anche questo evidentemente non sarebbe corretto.
Nessuno lo ammetterà mai, ma anche gli altri compagni qualche domanda se la faranno in merito a questa delicata costellazione. Già, perché poi oltretutto il rapporto tra i tre non termina sul ghiaccio e nello spogliatoio, ma continua evidentemente nel privato e non è un semplice legame di amicizia. Può funzionare davvero questo intreccio, è una dinamica sana all’interno di una squadra professionistica? È lecito avere dubbi a tal proposito. Non è una questione di mancanza di professionalità, semplicemente andare contro natura non è evidente. Non vorremmo mai essere nei panni di Eric Landry. Lo diceva anche Stefan Hedlund in un’intervista, “non allenerò mai i miei figli”. E cosa pensano alcuni giocatori di altre squadre e altri ex giocatori?
Abbiamo fatto un piccolo sondaggio anonimo domandando a una ventina di loro se militare in una squadra con un padre che allena i figli sarebbe una cosa gradevole, ininfluente oppure fastidiosa. Ebbene, due soli elementi hanno dichiarato che sarebbe ininfluente. Due altri hanno risposto che prima di giudicare dovrebbero viverlo sulla loro pelle, un altro elemento ha detto che di base non gli darebbe fastidio, ma che sarebbe molto difficile la gestione per i protagonisti e che inoltre all'interno della squadra tra giocatori non ci si sentirebbe liberi di parlare. La restante quindicina si è espressa in maniera negativa. È solo un sondaggio, un piccolo campione, ma forse qualcosa vorrà pure significare.
(Foto Ticishot-Simone Andriani)