È il Mondiale delle 48 squadre e
probabilmente, tra quattro anni, sarà quello delle 64!
Infantino, in questo modo, sta accontentando tutti: i malpensanti diranno che è per tirar su voti. E forse non sono lontani dalla realtà.
Nazioni che finora risiedevano ai margini del mappamondo calcistico, come Capo Verde e Curacao, passando perl' l'Uzbekistan e il Suriname, sono lì a un passo dal Mondiale o addirittura si sono qualificati.
Dietro a tutto questo, si è scatenata una vera e propria caccia allo scouting, per scovare origini nascoste e velocizzare la naturalizzazione di nuovi talenti.
Addirittura, c’è chi è andato ben oltre la semplice ricerca di antenati. Per esempio gli Emirati Arabi Uniti, che hanno architettato un vero e proprio stratagemma di calciomercato: hanno iniziato a “comprare” i giocatori in blocco, convincendoli a trasferirsi e a giocare nel loro campionato con promesse economiche allettanti per poi concedere loro la cittadinanza. Il risultato è una Nazionale quasi completamente “artificiale”, costruita pezzo per pezzo con lo scopo di sfruttare il nuovo format di qualificazione e aggirare astutamente le leggi FIFA.
Infantino, in questo modo, sta accontentando tutti: i malpensanti diranno che è per tirar su voti. E forse non sono lontani dalla realtà.
Nazioni che finora risiedevano ai margini del mappamondo calcistico, come Capo Verde e Curacao, passando perl' l'Uzbekistan e il Suriname, sono lì a un passo dal Mondiale o addirittura si sono qualificati.
Dietro a tutto questo, si è scatenata una vera e propria caccia allo scouting, per scovare origini nascoste e velocizzare la naturalizzazione di nuovi talenti.
Addirittura, c’è chi è andato ben oltre la semplice ricerca di antenati. Per esempio gli Emirati Arabi Uniti, che hanno architettato un vero e proprio stratagemma di calciomercato: hanno iniziato a “comprare” i giocatori in blocco, convincendoli a trasferirsi e a giocare nel loro campionato con promesse economiche allettanti per poi concedere loro la cittadinanza. Il risultato è una Nazionale quasi completamente “artificiale”, costruita pezzo per pezzo con lo scopo di sfruttare il nuovo format di qualificazione e aggirare astutamente le leggi FIFA.
Già nel 2008, l’allora presidente FIFA, Joseph
Blatter, aveva istituito rigidi paletti per prevenire la creazione di nazionali
costruite unicamente con la forza del denaro. Il regolamento sull’idoneità per
giocare nelle squadre rappresentative, ancora in vigore, impone una regola
chiara: per ottenere la nazionalità sportiva, un giocatore «deve aver risieduto
in modo continuativo per almeno cinque anni, dopo la maggiore età, nel
territorio della Federazione in questione».
Eppure, come evidenziato dal quotidiano sportivo spagnolo Marca, è proprio su questo limite d’età che gli Emirati Arabi Uniti sono riusciti a trovare l’inganno. A partire dal 2019, hanno lanciato una campagna acquisti di massa di giovani promettenti già formati. Hanno importato ragazzi, spesso da Paesi come Brasile, Tunisia o Marocco, convincendoli a trasferirsi e giocare nel campionato locale con compensi sproporzionati che avrebbero cambiato la loro vita – e non solo. In questo modo, una volta trascorsi i cinque anni di residenza, il giocatore era pronto per essere integrato nella nazionale, eludendo di fatto l’intento originale della FIFA.
Sei anni dopo, la situazione ci porta dritti al 2025: la Nazionale degli Emirati Arabi Uniti si sta giocando un posto al Mondiale, schierando una rosa interamente composta da giocatori che militano in squadre emiratine, ma la cui maggioranza è arrivata nel Paese in piena adolescenza.
Eppure, come evidenziato dal quotidiano sportivo spagnolo Marca, è proprio su questo limite d’età che gli Emirati Arabi Uniti sono riusciti a trovare l’inganno. A partire dal 2019, hanno lanciato una campagna acquisti di massa di giovani promettenti già formati. Hanno importato ragazzi, spesso da Paesi come Brasile, Tunisia o Marocco, convincendoli a trasferirsi e giocare nel campionato locale con compensi sproporzionati che avrebbero cambiato la loro vita – e non solo. In questo modo, una volta trascorsi i cinque anni di residenza, il giocatore era pronto per essere integrato nella nazionale, eludendo di fatto l’intento originale della FIFA.
Sei anni dopo, la situazione ci porta dritti al 2025: la Nazionale degli Emirati Arabi Uniti si sta giocando un posto al Mondiale, schierando una rosa interamente composta da giocatori che militano in squadre emiratine, ma la cui maggioranza è arrivata nel Paese in piena adolescenza.
L’espansione del Mondiale, dunque, ha
innegabilmente aperto più porte alle federazioni minori. In Asia, per esempio,
i posti per i partecipanti sono cresciuti di quattro o cinque – a seconda di
come andranno i playoff – contro i soli tre slot in più destinati all’Europa.
Parliamo di quei luoghi dove le amministrazioni sono più propense a rilasciare
la cittadinanza per meriti sportivi, creando di fatto un sistema più
accessibile a questi Paesi. Il risultato è che oggi c’è un nuovo concetto di
rappresentative, meno “nazionali” e più “miste”. Così, nel primo spareggio
decisivo per il Mondiale, giocato ad Abu Dhabi contro l’Iraq, gli Emirati Arabi
sono scesi in campo schierando sei giocatori naturalizzati, atleti che prima
del loro arrivo non avevano alcun legame con la cultura e la storia del Golfo.
Brasiliani come Meloni e Pimenta, il portoghese Amaral, il marocchino Rabii,
l’ivoriano Kouadio e l’argentino Nicolás Gimenez: tutti uniti, sotto il segno
del petroldollaro, con l’unico obiettivo di battere l’Iraq e accedere allo
spareggio intercontinentale verso la Coppa del Mondo.
È il nuovo calcio, fatto coi soldi e non con la passione per la maglia che si indossa.
Ma a qualcuno, evidentemente, va bene così.
È il nuovo calcio, fatto coi soldi e non con la passione per la maglia che si indossa.
Ma a qualcuno, evidentemente, va bene così.
(Da rivistaundici.com)