In
Italia le parole di Gattuso hanno scatenato una discussione che
sconfina nella polemica. Il Mondiale è stato allargato a dismisura,
le partecipanti sono 48, a Italia '90, ad esempio, erano solo 24,
quasi la maggioranza proveniva dall'Europa. Il Vecchio Continente
spedirà alla prossima edizione 16 formazioni (su 55 Federazioni). Si
fa notare che il Sudamerica avrà 6 qualificate su un totale di 10
Federazioni, e una settima potrà staccare il biglietto qualora
vincesse lo spareggio intercontinentale. Nel corso degli anni Africa
e Asia hanno visto aumentare i posti a loro disposizione: le africane
potrebbero essere 9 (sono 54 le Federazioni affiliate); le asiatiche
hanno beneficiato di un raddoppio rispetto all'ultima rassegna, 8 i
posti ora ottenuti. I numeri annoiano, ma mostrano la realtà.
Storicamente il Mondiale era un 'affare' tra Europa e Sudamerica. È
notorio che i voti di ogni singolo paese, anche se piccolo, contano.
E si pesano. Ma poi ha fatto irruzione prepotentemente la
geopolitica. Il calcio è una poderosa arma, ha una popolarità che
non ha confini, possiede una forza di attrazione contro cui non ci si
può opporre, nessuna argomentazione può contrastare la passione
degli appassionati. E i massimi dirigenti possono fare e disfare. La
politica ha inteso che attraverso il football si può fare
propaganda, senza avversari, senza fornire soverchie spiegazioni. Il
Mondiale in Qatar è l'emblema di questa dinamica. Un paese piccolo
geograficamente, ma potente politicamente, ha voluto e ottenuto
l'organizzazione del torneo. Stravolgendo una tradizione e un rito.
Per mostrarsi e mettersi al centro dell'attenzione planetaria. I
rilievi italiani sono di parte e di paura. Le squadre europee
migliori al Mondiale andranno. L'Italia rischia di rimanere ancora a
casa. Di certo i tempi hanno travolto e cambiato radicalmente questa
manifestazione. I nostalgici sono superati, sono una categoria
residua. Anche perché non c'è più il futuro di una volta.
QUALIFICAZIONI MONDIALI
Infantino ha tradito l'Europa?