In
attesa dei sorteggi di oggi, che individueranno l'avversaria
dell'Italia nei playoff di qualificazione mondiale, può valer la
pena di ritornare sulla Norvegia, che ha dimostrato, in due partite,
una superiorità tecnica (e non solo) nei confronti dei più
blasonati azzurri, tale da far pensare che possa diventare una
squadra interessante anche nella competizione estiva che ci attende.
Diciamo, quindi, che, per la Nati, sarebbe meglio starci lontano,
almeno nella fase a giorni. Nei giorni scorsi, scherzando, una nota
trasmissione radiofonica in onda nella vicina Penisola ha attribuito
il merito di quanto visto a San Siro domenica sera alle mamme dei
giocatori scandinavi più forti. Ovviamente, dietro c'è molto altro.
Testimone della crescita della nazionale di calcio norvegese è il
milanese Andrea Loberto, tecnico sconosciuto al grande pubblico, con
un'esperienza ventennale nel Paese scandinavo, e oggi nello staff
tecnico del St. Etienne, in Francia. Lo ha scovato il portale
'Fanpage.it.', con il quale ha fatto una lunga chiacchierata, che
proviamo a sintetizzare per i nostri lettori. “Innanzitutto,
ciò che si vede oggi non è frutto del caso. Hanno studiato,
investito e programmato. Ed è in questo modo che nascono i talenti e
le idee per giocare un calcio di qualità”, è
stata la premessa.
"Dietro, appunto, c'è un progetto condiviso tra la federazione
nazionale e lega professionistica (ed ecco che si spiega in parte la crescita europea del Bodø/Glimt - ndr). Hanno fatto ricerche,
osservato ciò che si fa all'estero, creando quattro pilastri su
quali formare allenatori e giocatori: tecnica, fisiologia, mentalità
e medicina sportiva. Il fulcro del progetto classifica le accademie,
valuta infrastrutture, staff, produttività, assegnando un punteggio,
sulla base del quale vengono erogati dei finanziamenti".
Loberto
prosegue: "Il
sistema è basato sulla meritocrazia. Bisogna possedere una licenza
obbligatorie per lavorare nei settori giovanili, dove vengono
applicati programmi tecnici identici, utilizzati anche a livello di
nazionali di categoria. Hanno attivato i ‘Future Teams' per chi
cresce più tardi. Non è un'idea originale, l'hanno creata in
Belgio, ma loro l'hanno adattata alla realtà locale. Il merito
principale? Avere avuto
il coraggio di farlo. Tutto è partito dalla presa di coscienza (e
dall'umiltà) di non essere competitivi, e di dover apprendere
qualcosa da chi lo era. Un lavoro lungo, durato due/tre lustri,
coordinato dall'alto, con un modello chiaro. A quel punto, arrivano i
talenti, figli del metodo, e non del caso". Viva
le mamme, insomma, ci mancherebbe. Ma a giocare a pallone, tutto
sommato, s'impara qualche anno dopo la nascita. Almeno, così ci
sembra di aver capito.
CALCIO INTERNAZIONALE
Il segreto della Norvegia