Era
una dell'Età dell'Oro del tennis (fine anni Settanta e inizio anni
Ottanta). Uno era svedese, l'altro era statunitense. Borg contro
McEnroe è stata una rivalità epica. Uno algido e freddo, l'altro
frenetico e impulsivo. Uno portava il colpo da fondocampo, l'altro
scendeva sempre a rete. Era una sfida esistenziale tra il passante e
la volée. Ma la vita è molto altro, lo sport è solo un riflesso,
riporta un'immagine, molto spesso solo apparente, che deve colpire
l'appassionato. E la freddezza di Borg riguardava solo il campo, il
resto erano emozioni e sentimenti umani e quindi pure fragilità.
Vicissitudini che hanno visto il campione (vincitore di 11 Slam, si
ritirò quando aveva solo 26 anni) alle prese con la droga e una
malattia dolorosa come il cancro. E ha deciso di pubblicare la sua
storia, ha dato alle stampe la sua autobiografia, scritta con l'aiuto
di sua moglie. Per raccontarlo serviva una persona che lo conoscesse
bene. Intervistato da Marca,
confessa che dopo aver smesso “ho attraversato un periodo
buio”, ma aveva “perso
la motivazione”, il gioco
esige una perfezione mentale quasi massimale. Quando pone fine alla sua
carriera, non c'è più il giocatore ma l'uomo con le sue paure e con
le sue debolezze. Arriva un tunnel chiamato droga: “Ho
dovuto riscoprire me stesso. Mi hanno aiutato solo i miei genitori.
Per reagire ho dovuto avere la stessa forza mentale di quando
giocavo”. L'antagonismo con
McEnroe? “Era un rapporto di amore-odio. Oggi siamo amici e ci
teniamo in contatto”. Il
tennis? “È uno sport in cui hai bisogno di aiuto, e io
non ne avevo”. A Wimbledon
contro Federer? “Roger colpirebbe la palla più forte”.
E ripensando a quei tempi, spiega: “Negli anni Settanta
ci sentivamo delle rock star, eravamo più che semplici tennisti”. La memoria serva a ricostruire il passato, a ricomporre fratture, a interpretare con saggezza avvenimenti controversi e laceranti. È necessaria: per continuare a procedere con una vita viva.
TENNIS
Io proprio io, Björn Borg