Meraviglioso Johann Zarco in casa a Le Mans, in
un Gran Premio epico per il pubblico che aspettava una vittoria in
casa nella classe Regina dal 1954. Davanti ad un’affluenza record,
oltre 300'000 spettatori in 3 giorni, il 34enne ha vinto con una
strategia perfetta orchestrata col suo patron Lucio Cecchinello,
mentre tra cambi moto, cadute e pista sempre più bagnata gli altri
hanno navigato come sull’olio. Non lui, perfetto, commovente, in un
finale dove il Team LCR, la Honda (che non vinceva da 22 gare), la
famiglia, gli spettatori erano tutti col fiato sospeso, chi con gli
occhi chiusi, chi con le lacrime, chi in tripudio sulle tribune. No,
non ho visto la gara in diretta, precedenza doverosa alla mamma per
la sua festa, eppure pur sapendo già il risultato non ho potuto
trattenere le lacrime in quel cammino finale verso il tripudio.
Questo è il motomondiale che ho conosciuto per 21 stagioni, Zarco è
uno dei “vecchi” romantici restati in griglia, quello per
intenderci che prima dei GP passava al mattino in sala stampa, diceva
ai fotografi dove appostarsi a fine gara per il suo salto mortale in
caso di vittoria, ripetuto stavolta lì, davanti alla tribuna
principale in delirio. Zarco ama parlare, nelle interviste a fine
gara è un libro del GP, nella sua semplicità ad Assen (dove la sala
stampa è a contatto con le cabine dei cronisti) veniva a parlarti,
un mondo che oggi è quasi surreale nell’epoca post Covid. Sì,
quella maledetta pandemia ha cambiato tante, troppe cose. Per più di
due anni ho commentato da Comano, è stata come una frattura umana
con i piloti, i meccanici, tecnici, tutto quanto dà un senso alla
tua presenza sul posto. Nell’ottima pagina alla Domenica Sportiva
della RSI si è parlato dei social, il rapporto con la stampa; un
“gap” che si è costruito molto durante il Covid. Si è capito
quanto sia più comodo, filtrato, gestire la comunicazione a
distanza. In fondo la strada era già tracciata. Proprio a Le Mans la
cabina di commento (qui la vista in una mia foto del 2012) era già
stata spostata in un container all’interno dell’immenso paddock
della storica pista francese. Inutile andare sul posto, ma intanto si
perdevano quelle relazioni straordinarie con i protagonisti. Thomas
Lüthi, ad esempio, era in crisi di risultati, ma si rilanciò
proprio nel 2012 col successo a Le Mans dove aveva già costruito nel
2005 con la vittoria il suo iride nella 125cc. Aveva bisogno Thomas
di “svuotare” la testa, e la sera prima del GP l’occasione fu …
il mondiale di hockey. Daniel Epp, il suo storico manager, aveva la
base in Cechia, Julia, ombrellina e responsabile anche della
hospitality di Tom Tom, era slovacca. Invitò alcune colleghe, derby
di semifinale al mondiale Cechia-Slovacchia. Niente moto, tifo da
stadio, Thomas costruì il successo in una serata “a non pensare
troppo”. È quello che ci ha regalato Zarco, quel
romanticismo che non muore mai. In fondo finita l’epoca di Rossi,
Lorenzo, Pedrosa o Stoner, ci si chiedeva se il pubblico sarebbe
calato. Non in pista, perché è li che senti i motori, annusi gli
odori, vedi i piloti. Ed è quello che auspico ai miei più giovani
colleghi. In un mondo che sta cambiando. Ma che resta umano …
quando appunto è meno tecnologico (si, ci son “cascato” pure io
durante il Covid per tenermi aggiornato) e più umano. Merci Johann!
J’ai pleuré. De joie
MOTOCICLISMO

Merci Johann