MOTOCICLISMO
Merci Johann
Pubblicato il 12.05.2025 06:23
di Alessandro Tamburini
Meraviglioso Johann Zarco in casa a Le Mans, in un Gran Premio epico per il pubblico che aspettava una vittoria in casa nella classe Regina dal 1954. Davanti ad un’affluenza record, oltre 300'000 spettatori in 3 giorni, il 34enne ha vinto con una strategia perfetta orchestrata col suo patron Lucio Cecchinello, mentre tra cambi moto, cadute e pista sempre più bagnata gli altri hanno navigato come sull’olio. Non lui, perfetto, commovente, in un finale dove il Team LCR, la Honda (che non vinceva da 22 gare), la famiglia, gli spettatori erano tutti col fiato sospeso, chi con gli occhi chiusi, chi con le lacrime, chi in tripudio sulle tribune. No, non ho visto la gara in diretta, precedenza doverosa alla mamma per la sua festa, eppure pur sapendo già il risultato non ho potuto trattenere le lacrime in quel cammino finale verso il tripudio. Questo è il motomondiale che ho conosciuto per 21 stagioni, Zarco è uno dei “vecchi” romantici restati in griglia, quello per intenderci che prima dei GP passava al mattino in sala stampa, diceva ai fotografi dove appostarsi a fine gara per il suo salto mortale in caso di vittoria, ripetuto stavolta lì, davanti alla tribuna principale in delirio. Zarco ama parlare, nelle interviste a fine gara è un libro del GP, nella sua semplicità ad Assen (dove la sala stampa è a contatto con le cabine dei cronisti) veniva a parlarti, un mondo che oggi è quasi surreale nell’epoca post Covid. Sì, quella maledetta pandemia ha cambiato tante, troppe cose. Per più di due anni ho commentato da Comano, è stata come una frattura umana con i piloti, i meccanici, tecnici, tutto quanto dà un senso alla tua presenza sul posto. Nell’ottima pagina alla Domenica Sportiva della RSI si è parlato dei social, il rapporto con la stampa; un “gap” che si è costruito molto durante il Covid. Si è capito quanto sia più comodo, filtrato, gestire la comunicazione a distanza. In fondo la strada era già tracciata. Proprio a Le Mans la cabina di commento (qui la vista in una mia foto del 2012) era già stata spostata in un container all’interno dell’immenso paddock della storica pista francese. Inutile andare sul posto, ma intanto si perdevano quelle relazioni straordinarie con i protagonisti. Thomas Lüthi, ad esempio, era in crisi di risultati, ma si rilanciò proprio nel 2012 col successo a Le Mans dove aveva già costruito nel 2005 con la vittoria il suo iride nella 125cc. Aveva bisogno Thomas di “svuotare” la testa, e la sera prima del GP l’occasione fu … il mondiale di hockey. Daniel Epp, il suo storico manager, aveva la base in Cechia, Julia, ombrellina e responsabile anche della hospitality di Tom Tom, era slovacca. Invitò alcune colleghe, derby di semifinale al mondiale Cechia-Slovacchia. Niente moto, tifo da stadio, Thomas costruì il successo in una serata “a non pensare troppo”.  È quello che ci ha regalato Zarco, quel romanticismo che non muore mai. In fondo finita l’epoca di Rossi, Lorenzo, Pedrosa o Stoner, ci si chiedeva se il pubblico sarebbe calato. Non in pista, perché è li che senti i motori, annusi gli odori, vedi i piloti. Ed è quello che auspico ai miei più giovani colleghi. In un mondo che sta cambiando. Ma che resta umano … quando appunto è meno tecnologico (si, ci son “cascato” pure io durante il Covid per tenermi aggiornato) e più umano. Merci Johann! J’ai pleuré. De joie