Due giorni di pausa per la Svizzera al mondiale
di hockey, l’occasione per raccontare “quello che non si vede”
ma che diventa alla fine importante quanto il visibile. Parto da due
foto, che vedete. Quella grande che scattai a Sochi quando la
Svizzera batté alle Olimpiadi del 2014 la Cechia 1-0. Sullo sfondo
Hiller, in primo piano Jaromir Jagr. La leggenda, parte della Golden
Generation ceca che vinse tutto. Come lui. 1 Olimpiade. 2 Mondiali. 2
Stanley Cup. 5 Art Ross Trophy (più punti nella RS della NHL). 1
Hart Memorial Trophy (MVP delle RS nella NHL), e tanto altro. A 53
anni gioca ancora nella sua squadra (si, sua, il Kladno è di sua
proprietà), e la mia foto assieme a lui, sempre nel 2014 ma al
mondiale di Minsk, è lo spunto per la riflessione odierna. Eravamo
con l’amico e collega Marco Maffioletti (autore della foto) al
Ristorante Gran Cafe nel centro della capitale bielorussa, luogo
diventato subito il riferimento culinario del mondiale. E c’era con
noi tutti la Cechia, Jagr compreso. Semplice, umile (lui che in
patria è un’icona, come Federer per noi per intenderci), a
rilassarsi con i suoi compagni. Era lì, Jagr, a fumarsi un sigaro in
totale relax. E si degnò di parlar con noi in semplicità. Uno che
alla Cechia ha dato tantissimo creando i presupposti non solo tecnici
e di classe ma anche di “gruppo” per vincere. E così il
parallelismo mi porta alla Svizzera, a Patrick Fischer, alla sua
capacità di creare appunto i medesimi presupposti, una “famiglia”
come l’ha definita ieri Kevin Fiala, dopo che è emerso il suo
dramma famigliare del secondo figlio perso durante la gravidanza di
sua moglie pochi giorni orsono. Non è un caso che la famiglia Fiala
sia arrivata nella famiglia Svizzera ad Herning, perché negli anni
si è creata questa unione fuori dal ghiaccio. Sempre con Marco
Maffioletti abbiamo toccato con mano a Bratislava nel 2019 la serata
svizzera prima dei due giorni di pausa. E da ex sportivo posso dire
che ho visto un gruppo unito, che mi ha ricordato la Cechia. Nico
Hischier, al primo mondiale da prima scelta assoluta del draft, mi
ricordava Jagr. A soli 20 anni. Altri giocatori come Michael Fora ed
Alessio Bertaggia mi impressionarono per l’etica sportiva. Cena
finita, come due soldatini subito a “nanna”. E qui capisci il
perché Fora sia un intoccabile per Fischer, un esempio per tutto il
gruppo. Poche parole, etica di lavoro unica. Poi c’è stato anche
il momento dello svago, dove è emerso Tristan Scherwey, a far da DJ
con uno sgabello alzato come una coppa al canto “Weltmeister”. A
caricare la truppa, lui che adori se gioca per te e puoi anche
detestare come avversario. Ma, soprattutto, ho visto quel gruppo
coeso, quello che per intenderci si ruppe invece nel 2002 a Salt Lake
City con la “Bacardi-Bande” che portò all’esclusione di Reto
Von Arx e Marcel Jenni, che per anni poi ha avuto come effetto di
vedere la Svizzera senza Reto ed il fido compagno a Davos Michel
Riesen. Con Ralph Krueger incapace di mollare un centimetro e
ricucire lo strappo per anni (e chissà quante possibili medaglie
"buttate al vento"). Per valore, come rinunciare oggi ad
Hischier e Meier per una decade. Sì, Patrick Fischer ha creato una
famiglia, un gruppo, con l’intelligenza di capire che servono i
migliori per vincere (sarebbe come puntare il dito a Jagr per un
sigaro), che in un mondiale serve anche una sera di libertà
(ovviamente senza eccessi), con i giocatori lasciati tra loro. Non lo
vedi solo sul ghiaccio, ma lo vedi in panchina, tra pacche sulle
spalle e coesione. Lo vedi nella volontà di rappresentare la
Svizzera, di buttarsi su un disco. O di prendere un aereo come Fiala,
la moglie ed il figlio per superare un momento difficile, laddove c’è
amore ed orgoglio di rappresentare una nazione.
MONDIALI

La forza del gruppo