MONDIALI
La forza del gruppo
Pubblicato il 14.05.2025 08:00
di Alessandro Tamburini
Due giorni di pausa per la Svizzera al mondiale di hockey, l’occasione per raccontare “quello che non si vede” ma che diventa alla fine importante quanto il visibile. Parto da due foto, che vedete. Quella grande che scattai a Sochi quando la Svizzera batté alle Olimpiadi del 2014 la Cechia 1-0. Sullo sfondo Hiller, in primo piano Jaromir Jagr. La leggenda, parte della Golden Generation ceca che vinse tutto. Come lui. 1 Olimpiade. 2 Mondiali. 2 Stanley Cup. 5 Art Ross Trophy (più punti nella RS della NHL). 1 Hart Memorial Trophy (MVP delle RS nella NHL), e tanto altro. A 53 anni gioca ancora nella sua squadra (si, sua, il Kladno è di sua proprietà), e la mia foto assieme a lui, sempre nel 2014 ma al mondiale di Minsk, è lo spunto per la riflessione odierna. Eravamo con l’amico e collega Marco Maffioletti (autore della foto) al Ristorante Gran Cafe nel centro della capitale bielorussa, luogo diventato subito il riferimento culinario del mondiale. E c’era con noi tutti la Cechia, Jagr compreso. Semplice, umile (lui che in patria è un’icona, come Federer per noi per intenderci), a rilassarsi con i suoi compagni. Era lì, Jagr, a fumarsi un sigaro in totale relax. E si degnò di parlar con noi in semplicità. Uno che alla Cechia ha dato tantissimo creando i presupposti non solo tecnici e di classe ma anche di “gruppo” per vincere. E così il parallelismo mi porta alla Svizzera, a Patrick Fischer, alla sua capacità di creare appunto i medesimi presupposti, una “famiglia” come l’ha definita ieri Kevin Fiala, dopo che è emerso il suo dramma famigliare del secondo figlio perso durante la gravidanza di sua moglie pochi giorni orsono. Non è un caso che la famiglia Fiala sia arrivata nella famiglia Svizzera ad Herning, perché negli anni si è creata questa unione fuori dal ghiaccio. Sempre con Marco Maffioletti abbiamo toccato con mano a Bratislava nel 2019 la serata svizzera prima dei due giorni di pausa. E da ex sportivo posso dire che ho visto un gruppo unito, che mi ha ricordato la Cechia. Nico Hischier, al primo mondiale da prima scelta assoluta del draft, mi ricordava Jagr. A soli 20 anni. Altri giocatori come Michael Fora ed Alessio Bertaggia mi impressionarono per l’etica sportiva. Cena finita, come due soldatini subito a “nanna”. E qui capisci il perché Fora sia un intoccabile per Fischer, un esempio per tutto il gruppo. Poche parole, etica di lavoro unica. Poi c’è stato anche il momento dello svago, dove è emerso Tristan Scherwey, a far da DJ con uno sgabello alzato come una coppa al canto “Weltmeister”. A caricare la truppa, lui che adori se gioca per te e puoi anche detestare come avversario. Ma, soprattutto, ho visto quel gruppo coeso, quello che per intenderci si ruppe invece nel 2002 a Salt Lake City con la “Bacardi-Bande” che portò all’esclusione di Reto Von Arx e Marcel Jenni, che per anni poi ha avuto come effetto di vedere la Svizzera senza Reto ed il fido compagno a Davos Michel Riesen. Con Ralph Krueger incapace di mollare un centimetro e ricucire lo strappo per anni (e chissà quante possibili medaglie "buttate al vento"). Per valore, come rinunciare oggi ad Hischier e Meier per una decade. Sì, Patrick Fischer ha creato una famiglia, un gruppo, con l’intelligenza di capire che servono i migliori per vincere (sarebbe come puntare il dito a Jagr per un sigaro), che in un mondiale serve anche una sera di libertà (ovviamente senza eccessi), con i giocatori lasciati tra loro. Non lo vedi solo sul ghiaccio, ma lo vedi in panchina, tra pacche sulle spalle e coesione. Lo vedi nella volontà di rappresentare la Svizzera, di buttarsi su un disco. O di prendere un aereo come Fiala, la moglie ed il figlio per superare un momento difficile, laddove c’è amore ed orgoglio di rappresentare una nazione.