CALCIO ITALIANO
Dilemma Inzaghi, vincente o perdente?
Pubblicato il 27.05.2025 06:40
di Emilio Di Nunzio
Sai qual è la differenza tra un vincente e un perdente? Il risultato. No, rimontare in sella dopo aver preso un calcio nei denti”. La definizione di cosa sia un vincente è racchiusa in questo dialogo ripreso dal film “Le riserve”, in cui Gene Hackman, allenatore di una squadra di football americano domanda a Keanu Reeves di spiegargli cosa separa un vincente da un perdente. I risultati sono fondamentali nella valutazione di ogni operato, ma tante volte si incorre nell’errore di soffermarsi solo sull’analisi del risultato finale per descrivere e valutare il lavoro di qualcuno. Forse l’errore sta nell’interpretazione dei dati. Simone Inzaghi lo sa. Il rischio che si cela dietro la finale del 31 maggio, è quello che in caso di sconfitta, il tecnico piacentino possa essere ricordato da molti, come uno degli allenatori più perdenti della storia del calcio. In questi quattro anni, il bilancio dei trofei vinti dall’Inter sotto la sua gestione è inferiore rispetto a quelli persi. Uno scudetto su quattro, due Coppe Italia, tre Supercoppe italiane e per il momento due finali di Champions nell’arco degli ultimi tre anni. Questo breve riassunto cosa dice? Forse nulla. La grandezza e la bravura di un allenatore non sono descritte solo dai numeri e dai trofei portati in bacheca, ma da come quelle coppe sono state vinte o perse, e dalle condizioni che hanno caratterizzato il percorso, che ha portato il gruppo al trionfo e alla gloria eterna, oppure a soccombere in termini puramente sportivi. Quello riscontrato in questi quattro anni, è che al netto degli errori e delle responsabilità individuali attribuibili in capo ad Inzaghi, lui con il resto del gruppo hanno intrapreso un percorso di grande crescita, un percorso che ha riportato l’Inter a riacquisire fama, credibilità ed un certo status non solo in territorio nazionale ma soprattutto in ambito europeo. Oggi, dove la società è governata dal concetto di immediatezza, e dove la pazienza e l’attesa sembrano essere delle virtù smarrite, non si è più capaci di dare il giusto valore alle cose. Tra i tifosi e i media serpeggia il pensiero che raggiungere due finali di Champions League nell’arco di soli tre anni sia qualcosa di scontato, oppure che la sola finale non sia sinonimo di nulla. Il mantra che aleggia tra tanti appassionati è che le finali vanno vinte punto, altrimenti è meglio uscire subito dai giochi, per evitare l’amarezza cocente della sconfitta. Tante sono state le cadute e le ferite che squadra e tifosi hanno dovuto subire e superare in questi anni, sconfitte all’ultima giornata, amarezze e rimpianti per le occasioni sciupate, tradimenti e promesse non mantenute, ma altrettante sono state le gioie e le soddisfazioni che hanno caratterizzato il cammino intrapreso, e le imprese che hanno tenuto viva la speranza, anche in momenti in cui tutto pareva buio e perduto. In tempi in cui i risultati sembravano portare a conclusioni opposte Inzaghi può sostenere: “dove alleno io aumentano i ricavi e i trofei, e diminuiscono le perdite”. E la società non può che essere soddisfatta. È specioso e non aderente alla realtà decretare dall'esito della finale, se Inzaghi sia un perdente o un vincente. È una narrazione poco convincente.