Isaac del Toro è giovane, e non ha (ancora?) la classe del suo
capitano Tadej Pogačar che, questo Giro, lo sta guardando in
televisione. Però, il messicano sa come si fa a guidare una squadra
come la UAE in una gara a tappe, quando sei in maglia rosa. Il
ciclismo è uno sport individuale: ma quando hai due compagni che si
piazzano davanti al gruppo a controllare la corsa, diventa più
semplice anche fronteggiare tale Richard Carapaz, uno che, per l'età,
potrebbe essere almeno suo zio (è nato nel 1993) e che, va anche
detto, ha tanta, tanta esperienza in più, oltre a una classe
indiscussa. Poi, certo, la corsa la fanno i corridori e, un pochino,
le condizioni atmosferiche: perché se lo scorso anno, a Livigno,
erano stati neutralizzati 80 km del tappone alpino a causa di una
intensa nevicata a Livigno, in questa edizione a farla da padrone è
stato il caldo. Il termometro, sulle asperità valdostane, lunghe e
dure, segnava in alcuni punti 26° in quella che i locali ci hanno
detto essere la prima giornata davvero pre-estiva di quest'anno.
Richard Carapaz ci ha provato. Ha prima punzecchiato la maglia rosa
sulla penultima asperità, e poi ha attaccato a fondo a una manciata
di km dall'ultimo gran premio della montagna dell'Antagnod, una prima
assoluta per il Giro: non una rampa impossibile ma, col caldo e le
asperità precedenti, poteva creare qualche problema. Un duello tutto
sudamericano, tra l'affermato campione equadoregno e il giovane
talentino messicano, mentre davanti il francese Nicolas Prodhomme
raccoglieva il frutto di una gara coraggiosissima, conclusa
vittoriosamente grazie a uno scatto decisivo nel finale del Col de
Joux. Anche senza Tadej Pogačar, insomma, il Giro resta sempre
emozionante. Oggi sarà il giorno del giudizio.
GIRO D'ITALIA

Del Toro e le mani sul Giro