Il destino sa essere
spietato contro l'umano, lo domina e ne infrange ogni pulsione e ogni
sospiro. L'Inter gioca una delle partite più importanti della sua
storia. Si è issata in alto, sfida pronostici, e ha deciso di
illudersi, si sente ambiziosa. Ma il tempo di Ernesto Pellegrini si è
fermato. È stato un grandissimo Presidente, uno di quelli che
esaltano lo spirito sportivo, ma è stato capace di andare oltre, e
la sua persona è diventata testimonianza di vita solidale e aperta
all'altro, specie quello che ha bisogno. Era un classico ragioniere
d'Italia: sognava e fondò un'impresa di ristorazione. Erano gli
effimeri, voluttuari, e superficiali anni Ottanta. La società dello
spettacolo prese il sopravvento. E lui nel 1984 comprò l'Inter.
Sotto la sua gestione arrivarono Rummenigge, Matthäus, Brehme,
Klinsmann, Diaz, Bergkamp, Berti, Bianchi e tanti altri ancora. Vinse
lo scudetto dei record quello del 1988-89, due Coppe Uefa (quando
valevano) nel 1991 e nel 1994. Ma nel febbraio del 1995 dovette
cedere la società a Moratti. Il calcio era cambiato, intraprese la
strada delle spese folli, servivano tanti soldi, troppi per lui. Ma
Ernesto Pellegrini fu dopo: una Onlus rivolta ad aiutare 'i nuovi
poveri', persone normali che all'improvviso sono emarginate, escluse
ed espulse perché non in grado di correre e tenere i ritmi imposti
da una società aggressiva ed egoista; il ristorante Ruben di Milano,
capace di fornire un pasto al giorno per 400 persone, al prezzo
simbolico di 1 euro. “Voglio restituire un poco del tanto che ho
ricevuto dalla vita”, queste le sue parole. Questo e molto
altro è stato Ernesto Pellegrini. L'Inter la amava, era un devoto
della Beneamata, il nerazzurro era un soffio che gli veniva
dall'anima. E così sia.
CALCIO ITALIANO

L'interismo piange Ernesto Pellegrini