Il ciclismo, si sa, è uno sport individuale. Però, se non hai una
squadra valida, non vinci. Un controsenso? Assolutamente no: arriva
primo chi va più forte, ovviamente. Ma devi avere una squadra che
sia in grado di controllare gli avversari, inserendosi nelle fughe,
che stia davanti a ricucire, che tenga alta l'andatura per stroncare
i rivali quando serve. Perché, nel ciclismo, senza squadra non
vinci: e i ringraziamenti dei capitani a fine gara ai gregari sono
tutto tranne che retorica spicciola. Isaac Del Toro è sicuramente un
talento. Ha margini di miglioramento, ovviamente, e ha l'umiltà di
saperlo. A Champoluc, infatti, ci aveva detto che avrebbe seguito i
consigli dei compagni più anziani e degli strateghi di una squadra,
la UAE, che è forse la migliore del mazzo. Non sappiamo, quindi, chi
ha sbagliato, nella tappa decisiva della via Lattea, che il
campioncino messicano, giustamente, temeva. Quello che abbiamo visto
è stata, invece, la minuziosa preparazione da parte degli avversari,
ma non la EF di Richard Carapaz, attesissimo e, per questo motivo,
controllato a vista dalla maglia rosa e dai suoi sodali. A fare la
gara che ha deciso il Giro è stato il terzo incomodo, quello del
quale ci insegnano a diffidare sin da piccoli ("Attento che tra
i due litiganti, gode un terzo"). Perché il capolavoro di Simon
Yates, gemello di Adam, compagno di squadra di Isaac Del Toro, è
stato di quelli che ti fanno ringraziare di amare il ciclismo. Gli
strateghi della UAE, troppo impegnati a tenere d'occhio Richard
Carapaz, si sono persi la fuga iniziale con dentro Wout Van Aert
della Visma, compagine forte e soprattutto capitanata dal britannico,
terzo in classifica a un minuto e rotti. Il belga non è partito per
caso: era lì a fare da boa al capitano il quale, ancora ampiamente
in classifica, aveva tutti i numeri per provarci. C'era poi il
precedente del Giro del 2018, con Simon Yates sconfitto proprio sul
colle delle Finestre, la micidiale salita sterrata ancora una volta
protagonista. Diciamolo: uno stratega deve conoscere la storia, è
una delle regole di grammatica della geopolitica. Il ciclismo è
piccola cosa rispetto agli equilibri mondiali: ma le regole sono le
stesse. La Visma aveva galleggiato fino a ieri, tenendo il suo uomo
in classifica ma lasciando che fossero gli altri a giocarsela, anche
se il gigantesco belga, a Siena, aveva dato una pennellata della sua
classe, in un'altra tappa con lo sterrato. Tanti motivi per stare
all'occhio, insomma: ma l'attenzione era tutta per Carapaz, lui
invece senza compagni in grado di aiutarlo nelle ascese decisive. E,
sul micidiale colle delle Finestre, decisivo nel 2018, è partito
l'attacco decisivo del campione inglese, probabilmente preparato da
settimane, che sapeva di poter contare sul compagno di squadra,
davanti ad aspettarlo e a tirarlo in discesa e, soprattutto, sul
tratto in falsopiano. Il resto è ormai la piccola grande storia del
ciclismo, in un Giro maltrattato da alcuni per l'assenza di corridori
di primissimo piano, ma che ha entusiasmato chi lo ha visto, dal vivo
e in televisione. Isaac Del Toro ha perso per inesperienza,
sicuramente; e il suo tentativo di convincere Richard Carapaz ad
aiutarlo, con le polemiche a fine gara, è stato dettato proprio
dall'essere giovane e non ancora in grado, probabilmente, di
comprendere che, in bicicletta, è molto raro che si aiuti un
avversario a vincere una gara importante. A noi è venuto subito in
mente il duo Magni-Coppi, con l'Airone che portò il rivale al
traguardo, facendogli prendere la maglia rosa ai danni di Gastone
Nencini in testa alla classifica, il quale aveva forato nel momento
sbagliato. Tuttavia erano altri tempi, c'erano in ballo rapporti
personali vecchi di lustri, la possibilità per l'Airone di vincere
la tappa, cose così. Probabilmente, un buon stratega avrebbe
consigliato il giovane messicano di non rispondere alle parole di
Carapaz. La UAE resta fortissima: però, forse, bisogna iniziare a
studiare la storia di questo sport.
GIRO D'ITALIA

Perché ha vinto Simon Yates e perso Isaac Del Toro