La Champions vinta dal PSG è un crogiolo di
molteplici emozioni, positive e negative, da narrare. Pronti,
partenza e via. Subito una palla calciata lontana, in rimessa
laterale verso la bandierina. Tema: cercare da subito un pressing
alto e asfissiante. Già dopo pochi secondi. Sarà così tutta la
partita, con Dembele eroico, un centometrista al limite dell’area
pronto allo scatto feroce su Sommer per tutto l’incontro, Kvara a
sedurre in attacco e ripiegare in difesa come uno stantuffo, da far
rivedere ancora e ancora a uno come Leao che nel gioco difensivo
sembra un omino del subbuteo. Per non parlare di Doué, dotato nel
nome e nei fatti. Quando si è bravi si gioca anche da giovani, tema
che in Italia fa discutere, pensando ad esempio alla stagione
disastrata del Milan ed allo spazio, quasi nullo, concesso a Camarda.
Ed in fondo la finale era tra una squadra con un’età media di 24
anni (PSG) ed una di 30 (Inter). Quelle magliette a casa. Sì, la
prima maglia che comprai a mio figlio quando aveva 10 anni fu quella
di Messi al Barcellona, poi lui seguì la scia comprandone due altre.
Messi e Mbappé al PSG. I campioni sono da ammirare a prescindere dai
colori, ma non sempre i campioni ti fanno vincere nel calcio. Ed
infatti il capolavoro di Luis Enrique è tutto qua, aver vinto a
Parigi laddove hanno fallito Messi, Mbappé o Neymar. Alla faccia del
Super Real di … Mbappé stesso. Luis Enrique ha vinto, è l’eroe
della stagione, ma ha anche commosso, nella sua resilienza dopo la
perdita della figlia Xana. Quella maglietta sobria, nera con dei
semplici disegni a ricordare quando assieme piantarono la bandiera
del Barcellona a centrocampo 10 anni orsono a Berlino. Sempre
Germania, sempre grande umanità. “Si vive, si muore, tutto il
resto poi si vede. Xana è sempre con me, se vinciamo o se perdiamo,
non cambia niente e sono felice di averla vissuta”. Federica
Masolin, collega di Sky Sport si commuove. Ed è bello così. Un
giorno mi fu detto, in forma di critica: “Tamburini piange al
microfono”. Si, capita, Quando si hanno emozioni, commenti come
ad esempio nel 2021 l’ultimo GP di Rossi e lo vedi piangere, ti
commuovi. Perché ad esempio sai quel tormento segreto, intimo, che
Vale ha sempre avuto nell’essere stato colui, totalmente in modo
involontario, ad essere passato sul collo dell’amico Simoncelli. Le
lacrime sono anche emozioni umane. Mi preoccupa maggiormente chi
raramente ne ha o le strumentalizza contro chi non si vergogna di non
nasconderle. Emozioni. Finita la partita c’è voglia di vedere
Parigi in festa, quella capitale bardata di sicurezza ed entusiasmo
l’anno scorso per le Olimpiadi. C’è uno Youtuber sui Campi
Elisi, @paravec. Filma tutto. E ti lascia sbigottito. C’è chi
festeggia, canta, balla, persino chi gioca a calcio. Ma c’è
soprattutto tanta violenza, vetrine in frantumi, fuochi pirotecnici
puntati verso la Polizia, biciclette bruciate, sassaiole e tentativi
della Polizia con cariche regolari di arginare tutta la deriva
violenta. Due giorni dopo la commemorazione dei 40 anni dell’Heysel,
delle 39 vittime allo stadio di Bruxelles, resti sbigottito davanti a
cotanta violenza, in un giorno di festa. È già successo nel
prepartita anche a Bilbao tra Tottenham e Manchester United (e se i
baschi dicono che non avevano mai vissuto cotanta violenza c’è da
crederci), capita regolarmente. È persino capitato a Chiasso per una
partita della Youth League allievi A. E capisci che alla fine lo
sport è solo un pretesto. Che non esistono colori, nomi, vittorie e
sfottò, sconfitte e amarezze, per arginare un disagio sempre più
dilagante, allarmante, nella società moderna.
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Finale Champions, gli effetti collaterali