CHAMPIONS
Finale Champions, gli effetti collaterali
Pubblicato il 01.06.2025 12:20
di Alessandro Tamburini
La Champions vinta dal PSG è un crogiolo di molteplici emozioni, positive e negative, da narrare. Pronti, partenza e via. Subito una palla calciata lontana, in rimessa laterale verso la bandierina. Tema: cercare da subito un pressing alto e asfissiante. Già dopo pochi secondi. Sarà così tutta la partita, con Dembele eroico, un centometrista al limite dell’area pronto allo scatto feroce su Sommer per tutto l’incontro, Kvara a sedurre in attacco e ripiegare in difesa come uno stantuffo, da far rivedere ancora e ancora a uno come Leao che nel gioco difensivo sembra un omino del subbuteo. Per non parlare di Doué, dotato nel nome e nei fatti. Quando si è bravi si gioca anche da giovani, tema che in Italia fa discutere, pensando ad esempio alla stagione disastrata del Milan ed allo spazio, quasi nullo, concesso a Camarda. Ed in fondo la finale era tra una squadra con un’età media di 24 anni (PSG) ed una di 30 (Inter). Quelle magliette a casa. Sì, la prima maglia che comprai a mio figlio quando aveva 10 anni fu quella di Messi al Barcellona, poi lui seguì la scia comprandone due altre. Messi e Mbappé al PSG. I campioni sono da ammirare a prescindere dai colori, ma non sempre i campioni ti fanno vincere nel calcio. Ed infatti il capolavoro di Luis Enrique è tutto qua, aver vinto a Parigi laddove hanno fallito Messi, Mbappé o Neymar. Alla faccia del Super Real di … Mbappé stesso. Luis Enrique ha vinto, è l’eroe della stagione, ma ha anche commosso, nella sua resilienza dopo la perdita della figlia Xana. Quella maglietta sobria, nera con dei semplici disegni a ricordare quando assieme piantarono la bandiera del Barcellona a centrocampo 10 anni orsono a Berlino. Sempre Germania, sempre grande umanità. “Si vive, si muore, tutto il resto poi si vede. Xana è sempre con me, se vinciamo o se perdiamo, non cambia niente e sono felice di averla vissuta”. Federica Masolin, collega di Sky Sport si commuove. Ed è bello così. Un giorno mi fu detto, in forma di critica: “Tamburini piange al microfono”. Si, capita, Quando si hanno emozioni, commenti come ad esempio nel 2021 l’ultimo GP di Rossi e lo vedi piangere, ti commuovi. Perché ad esempio sai quel tormento segreto, intimo, che Vale ha sempre avuto nell’essere stato colui, totalmente in modo involontario, ad essere passato sul collo dell’amico Simoncelli. Le lacrime sono anche emozioni umane. Mi preoccupa maggiormente chi raramente ne ha o le strumentalizza contro chi non si vergogna di non nasconderle. Emozioni. Finita la partita c’è voglia di vedere Parigi in festa, quella capitale bardata di sicurezza ed entusiasmo l’anno scorso per le Olimpiadi. C’è uno Youtuber sui Campi Elisi, @paravec. Filma tutto. E ti lascia sbigottito. C’è chi festeggia, canta, balla, persino chi gioca a calcio. Ma c’è soprattutto tanta violenza, vetrine in frantumi, fuochi pirotecnici puntati verso la Polizia, biciclette bruciate, sassaiole e tentativi della Polizia con cariche regolari di arginare tutta la deriva violenta. Due giorni dopo la commemorazione dei 40 anni dell’Heysel, delle 39 vittime allo stadio di Bruxelles, resti sbigottito davanti a cotanta violenza, in un giorno di festa. È già successo nel prepartita anche a Bilbao tra Tottenham e Manchester United (e se i baschi dicono che non avevano mai vissuto cotanta violenza c’è da crederci), capita regolarmente. È persino capitato a Chiasso per una partita della Youth League allievi A. E capisci che alla fine lo sport è solo un pretesto. Che non esistono colori, nomi, vittorie e sfottò, sconfitte e amarezze, per arginare un disagio sempre più dilagante, allarmante, nella società moderna.