Sull'erba si gioca solo
per un mese, è una superficie che ancora al passato, ma solo per uno
sprazzo durante la stagione. Ma Wimbledon rimane un tempio laico,
capace di avere una sacralità che la contemporaneità non riesce a
scalfire. Il tennis soffre di una crisi epocale. Dietro Alcaraz e
Sinner c'è una voragine, non ci sono giocatori di spessore tecnico e
di spiccata personalità. Si nota anche il passaggio “all'erba
battuta” come la definiva Gianni Clerici. Esiste solo il
fondocampo, consumato dalle scarpe di nuova generazione, la discesa a
rete non è più contemplata, è un retaggio ritenuto superfluo, è
una pastoia superata dalla potenza, e dal colpo che deve partire da
lontano. Anche a Wimbledon vige lo scambio prolungato. Ma il Centrale
mantiene una grandissima forza simbolica ed evocativa, rappresenta un
luogo vitale, dove il mistero della disciplina concupisce e ammalia.
Ieri c'era uno spettatore molto speciale: occhiali neri; giacca blu;
camicia bianca; cravatta nera. Finita la partita Djokovic ha detto:
“Ogni tanto vorrei avere il serve & volley di quel
gentiluomo, ma devo ancora correre per vincere”; ha aggiunto:
“Tra l'altro è la prima volta che guarda una mia partita e io
la vinco! Ho tanto rispetto per lui”. Il nome del gentiluomo è
Roger, il cognome Federer. La nostalgia è un legittimo sentimento.
Manca Federer al tennis, mancano il suo talento, la sua classe, il
suo stile. Ci sono sempre i ricordi. Per fortuna.
TENNIS

Nostalgia di un gentiluomo come Federer