In un tempo passato: il
glaciale e freddo svedese Bjorn Borg si inginocchiava sulla schiena
per terra e alzava le braccia al cielo; il poderoso e rosso tedesco
Boris Becker alzava le braccia e lo sguardo al cielo ed esprimeva una
soddisfazione istintiva e giovanile; l'imperturbabile e algido
svedese Stefan Edberg si lasciava andare e il suo viso si scioglieva
in un sorriso liberatorio, e braccia alzate al cielo. In un tempo
recente: il serbo Novak Djokovic si inginocchiava e l'erba la
mangiava; lo svizzero Roger Federer si abbandonava e lasciava
scorrere le lacrime, un pianto quasi catartico. Vincere Wimbledon
costituisce l'apoteosi per un tennista. Vale una carriera.
Restituisce il senso di una disciplina, che vive di monumentali
risvolti psicologici e nel finale vittorioso prorompe in un'emozione
incontrollabile. Sinner è un italiano davvero particolare. Veniva
dalla squalifica, a Parigi ha subito una pesante sconfitta da parte
di Alcaraz, ha patito un rovescio doloroso in maniera quasi
rocambolesca. A Londra si è superato e ha conquistato lo Slam più
prestigioso e più importante. Terminato l'incontro si è lasciato
andare a modo suo. Ecco un sorriso lieve ed educato, e ha alzato le
braccia al cielo per rispettare il contorno, la circostanza,
l'atmosfera. La sua visione del mondo è chiara: “Devi accettare
le sconfitte per poi fare le scelte giuste e migliorare”.
L'Italia ha il suo campione, vorrebbe il suo simbolo, vorrebbe la sua
icona. Ma Jannik procede con la sua indole, e la sua esultanza è
contenuta. Postilla: a Wimbledon per sostenere Alcaraz c'era
addirittura il Re Felipe. Per l'Italia c'era solo l'ambasciatore.
Assente tutti gli altri: sia il Ministro dello Sport, che il
presidente del Coni.
WIMBLEDON

Sinner, un'esultanza sobria e contenuta